mercoledì 9 settembre 2009

API – TRATTAMENTI SI, TRATTAMENTI NO

Ho parlato tempo fa della mia esperienza con le api, ma in quel periodo la varroa era ancora una problematica che non colpiva in maniera così diffusa come oggi, perciò oggi mi vedo costretto a sperimentare come sempre, leggo molto mi informo ma poi voglio fare le mie esperienze, voglio ragionare e capire il perché delle cose, il loro funzionamento i meccanismi che lo regolano. Purtroppo devo dire che ho commesso un errore di valutazione nella conduzione dell’apiario, dovuto soprattutto alla fatica di un ragionamento lucido nel mese di agosto stritolato da quel caldo che mal sopporto e distratto da letture di libri antichi che mi stanno spingendo ad andare alle radici dell’apicultura, che mi stanno trascinando in un vortice che mi riporta alle esperienze del 1700 e del 1800, tutto questo mi ha fatto balenare un’idea in testa che vedremo se poi prenderà forma e si trasformerà in qualcosa di concreto. Ma torniamo a noi e alle mie considerazioni, eravamo rimasti con una situazione di quattro alveari, un quello regalatomi che proviene da apicoltura biologica e ho deciso di proseguire con quest’alveare su questa strada per il momento, ovvero il trattamento con timolo per un periodo di quattro settimane, cosa che ho terminato domenica scorsa.
Il trattamento con il timolo avviene in questo modo, posizionando le barrette imbevute ai quattro lati sopra i telaini e capovolgendo il coperchio per creare una cassa d’espansione, è chiaro che in questa fase bisogna togliere i melari per non intaccare il miele.
Tutta questa operazione crea un gran trambusto nelle api, che portano a termine la covata esistente, ma si tende a rallentare se non quasi a fermare la deposizione della regina, la quale se continua a deporre lo fa solo nella parte bassa dell’arnia, al’inizio molte api ronzano attorno all’arnia e poi tendono a fare una barba esterna, perché sia efficace c’è bisogno che la temperatura sia abbastanza elevata altrimenti perdiamo l’efficacia del trattamento.
A terminare il tutto dovrò provvedere verso novembre quando non ci sarà più covata a un trattamento con l’acido ossalico.
La top-bar non ha ricevuto nessun trattamento e penso di contenere il parassita in maniera naturale, ed è sotto osservazione per questo motivo, ricordo che contiene uno sciame secondario di api inselvatichite.
La nota dolente riguarda lo sciame primario che avevo diviso a suo tempo, da una parte la regina che è ancora in piena attività e gode di ottima salute su cui non è stato fatto nessun tipo di intervento, mentre sull’alveare madre era nata la regina aveva cominciato a deporre e come da mia abitudine io ho bisogno di testare e di capire, volevo verificare che differenza d’abbattimento c’era tra le api inselvatichite e quelle cosi dette domestiche, purtroppo lo sciame non ha retto allo stress forse anche a causa della sua debolezza creata dalla divisione dell’arnia e la regina ha deciso d’andarsene con tutto il suo seguito e mi sono trovato con la casetta vuota di api e miele, un vero peccato in quanto non ho potuto terminare la mia verifica, anche se per una decina di giorni ho potuto accumulare dei dati in merito, non riscontrando una grossa differenza di caduta, anzi si equivalevano molto dall’estrapolazione dei dati, ovvero scarsa presenza di varroa.
Ma vediamo da dove nasce il grosso problema della varroa destructor, abbiamo una crescita esponenziale quando vi è della covata disponibile, in parole semplici ciò vuol dire che se partiamo da un individuo otteniamo questo diagramma: 1 – 2 – 4 – 8 – 16 – 32 – 64 – 128 – 256 – 512 – 1024 – 2048 – 4096 – 8192 questo ricorda la storiella della foglia che stava sopra al lago e si moltiplicava in maniera esponenziale, all’inizio non se ne fa molto caso, ma quando la foglia ha ricoperto la metà del lago, il giorno dopo ci ritroviamo con l’intera superfice invasa e infestata dalla foglia ed è troppo tardi per porvi rimedio. Il ciclo di riproduzione di questo parassita è di 10 giorni e fate voi due conti considerando che a fine febbraio abbiamo già la prima covata e proseguiamo fino alla fine di ottobre, vale a dire circa otto mesi di covata più o meno intensa e questo permette di raddoppiare il calcolo sopra riportato che è di 14 cicli, mentree nella realtà possiamo arrivare comodamente al doppio, da questo il senso del destructor, arriviamo ad avere più varroe che api.
Considerando che è stata scoperta negli anni 60 in giappone considerando la prima comparsa ufficiale in Italia nel 1981 e ad oggi avendo raggiunto anche le parti remote del pianeta possiamo a tutti gli effetti considerarlo una piaga o un flagello per gli apicoltori, tanti ad oggi sono i sistemi provati ma nessuno ne chimico, ne meccanico, ne naturale è riuscito a debellare il problema, perciò bisognerà imparare a conviverci.
A margine di queste considerazioni, l’alveare che mi era stato regalato ha avuto una resa di miele di 27 Kg non male direi, una parte l’ho già impastata con dello zucchero a velo e a fine trattamento con il timolo ho fornito l’impasto all’alveare per stimolare la deposizione e poter invernare un’arnia forte, essendo questa caratteristica la principale per permettere alle api di svernare nel migliore dei modi, in quanto un’arnia debole andrà incontro a morte certa.
A proposito il progetto di cui parlavo sopra è quello di poter costruire qualche arnia antica e popolarla, se qualcuno ha dei link, libri, opinioni, suggerimenti in merito è ben accetto.

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